CHI SIAMO
LA COMUNITÀ
Le monache benedettine del monastero di san Giovanni Battista di Roma osservano una viva tradizione monastica incentrata sulla preghiera ed il lavoro, seguendo la Regola di San Benedetto.
Una chiamata ad essere una piccola luce nel mondo per arrivare là dove le mani non riescono a giungere e illuminare i cuori più desolati ed affranti.
Una chiamata tutta permeata dalla carità fraterna, dove al centro c’è Cristo Gesù e la vita, fatta di canti, di silenzio, di meditazione, di ospitalità.
LA NOSTRA STORIA
Ai primi sentori della II guerra mondiale, durante i terribili bombardamenti, tutti i cittadini di Subiaco si domandavano dove fuggire per trovare un rifugio sicuro, poiché come in tutte le altre città d’Italia anche a Subiaco, oltre alla ristrettezza per le tessere annonarie ci fu, prima l’occupazione dell’esercito italiano, quindi il disarmo da parte dei tedeschi e subito dopo l’occupazione dell’esercito germanico. La città di Subiaco divenne così l’obiettivo dei bombardamenti anglo-americani che purtroppo non tardarono ad arrivare.
Anche le monache dovettero accamparsi mentre il monastero giorno dopo giorno diveniva un cumulo di macerie. Fu così che i padri Cappuccini, quanto mai generosi, misero la loro Chiesa, il refettorio ed altri locali a disposizione delle monache:, le quali accolsero con gratitudine la loro offerta.
La comunità restò nel convento dei Cappuccini fin quando le cannonate, un giorno, sibilando sulle loro teste e attraversando la loro traiettoria per la valle, rimbombarono per l’ultima volta.
Fu questo l’ultimo giorno di terrore: le campane annunciarono che i tedeschi si erano ritirati lasciando il posto agli anglo-americani, sbarcati sulle coste italiane.
Fu allora che la Madre Abbadessa Ildegarde Petrucci,si volse alla volta di Roma, alla ricerca di un luogo più adatto e più sicuro sul quale costruire un nuovo ‘nido’ per le sue figlie. Lo trovò alle pendici di Monte Mario, nella villa di proprietà del Conte Robilant. Il vasto terreno intorno alla villa avrebbe permesso loro di progettare e quindi costruire un vero monastero, adatto alle esigenze proprie della vita monastica Benedettina.
Trovata la casa, la Madre ottenne il permesso dal Vicariato di abitarla e il nulla osta dal Cardinal Selvaggiani. Trasferite le monache da Subiaco a Roma si preparò innanzitutto la Cappella, poi le celle, la cucina, il refettorio e infine i laboratori. Nel contempo si iniziò a piantare e a coltivare un po’ di ortaggi nei pezzetti di terra dentro il recinto della villa.
Si riuscì ad acquistare, a poco a poco, il terreno circostante e iniziare a combattere la dura battaglia della bonifica. La terra era infatti incolta, boschiva e perciò poco produttiva. Si iniziò così a dissodare il terreno ove erano ancora sepolte bombe e proiettili lasciati dall’esercito in fuga.
Era il maggio del 1945 quando, secondo il disegno di Dio, attraverso vari eventi, la vita già feconda del monastero di San Giovanni Battista fu trapiantata da Subiaco a Roma e cominciarono a spuntare quasi a sorpresa, nuovi germogli.
Infatti mentre i lavori fervevano senza sosta, si presentarono alcune giovani, provenienti da Roma e da varie regioni d’Italia chiedendo di essere ammesse alla sequela di Cristo nello spirito della Regola di San Benedetto.
Così in pochi anni la famiglia monastica poté contare ben 70 membri. Di qui la necessità di locali che in circa dieci anni costituirono un ampio complesso, comprendendo da una parte il monastero per la comunità monastica, dall’altra il collegio con camerate, aule scolastiche, sala da soggiorno, laboratorio, palestra e cortili. L’attività della scuola terminò nel 2003 per scarsità d’iscrizioni.
IL MONASTERO OGGI
Oggi parte di quella che era la scuola è rimasta tale e viene affittata, mentre un’altra parte è diventata foresteria per gli ospiti. La comunità ora ridotta di numero per la morte di religiose anziane e il trasferimento di alcune religiose al monastero di Subiaco (con gli anni ricostruito), si dedica all’accoglienza e al lavoro nelle faccende quotidiane, nell’orto, al ricamo, in falegnameria.