Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno, infatti, ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! (Ef 5,21-32)
L’ultima parte della lettera agli Efesini dedica più spazio al tema dei rapporti all’interno di una famiglia cristiana.
I contrasti nascono sempre dalle incomprensioni quando qualcuno tenta di dominare e pretende di essere servito. I comportamenti reciproci devono essere regolati dal rispetto dell’altro: il termine “sottomissione” ad alcuni sembra sorpassato e anche suona come una parola negativa nelle relazioni. Allora per spiegare prendo la Regola capitolo 71 che ha questo titolo “L’obbedienza reciproca dei fratelli”: «La virtù dell’obbedienza non dev’essere solo esercitata da tutti nei confronti dell’abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra loro, nella piena consapevolezza che è proprio per questa via dell’obbedienza che andranno a Dio. […] i più giovani obbediscano ai confratelli più anziani con la massima carità e premura».
Nessun dominio del forte sul debole, del ricco sul povero, di chi sta in alto su chi si trova in basso; ma solo disponibilità al servizio.
Il timore biblico è aderire con grande amore ad una persona di cui ci si fida. San Benedetto ha seminato, per così dire, nei capitoli della Santa Regola, il santo timor di Dio; a tal proposito, cito soltanto dal capitolo 7,10-11 «il primo gradino dell’umiltà è proprio di chi tenendo sempre presente davanti agli occhi il timor di Dio fugge in modo assoluto la smemoratezza riguardo a ciò che Dio comanda e come a quelli che temono Dio sia è preparata la vita eterna».
Nell’udienza generale dell’11 giugno 2014, Il Santo Padre Francesco così si espresse: «il timor di Dio è dono dello Spirito Santo che ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore e che il nostro bene sta nella abbandonarci con umiltà, con rispetto e fiducia nelle sue mani».
Il brano di questa lettera va collocato alla mentalità del tempo. Comunque, a conferma, viene adottata una ragione teologica: come Cristo ha avuto cura della Chiesa, anche i mariti devono avere amore e avere cura delle loro mogli. Cristo è il capo della Chiesa e ne è il Salvatore. La duplice funzione di Cristo è alla base dei rapporti tra i due coniugi. Le relazioni tra Cristo e la chiesa devono essere punto di riferimento per tutti i cristiani, noi stessi siamo la chiesa.
Il modello di amore proposto è Cristo, che ci ha amato e ha dato se stesso per noi, sua chiesa!
Domande per la riflessione:
- A che livello sta la nostra fede?
- Crediamo che tutti noi credenti siamo chiesa?
- Crediamo che il nostro punto di riferimento è Cristo?
- La nostra fede ha concretezza nelle relazioni con il prossimo?
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